le plastiche

Io che non vedo più

che folletti di vetro

che mi spiano davanti

che mi ridono dietro.

Fabrizio De André, Cantico dei drogati

 

genomi1
genomi1
suppliciacion
suppliciacion
settestrade
settestrade
unknown
unknown
sufi
sufi
prequerce
prequerce
erbe
erbe
genomi2
genomi2
sconosciuti
sconosciuti
elevazioni
elevazioni
sovrapposizioni
sovrapposizioni
il giuba esplorato
il giuba esplorato
querce
querce
out
out

Nelle plastiche erano nascosti i germi della mia identità artistica: sia fisici, come il gioco di sovrapposizioni e stratificazioni, sia esistenziali, come gli Unknown, soggetti di fotografie in cui regna l’inconsapevolezza (di chi scatta o di chi è ripreso) che rimandano a molti altri protagonisti legati alla Rete.

Rivedendo questi vecchi lavori, comprendo l’enorme debito nei confronti della luce che ho lasciato loro. Gli acetati orizzontali de Il Giuba esplorato proiettano un’ombra verticale sulla base in legno che li sostiene: per fruire dell’opera non qualsiasi luce, ma una specifica luce diventa fondamentale. È una fotografia nel significato più primitivo del termine, ovvero scrittura di luce. Ma si può plasmare l’immateriale? Paradossalità: un uomo occidentale, il Bottego per l’appunto, "scopre" il corno d’Africa quando era già popolato da secoli, quindi già scoperto.

Così come gli indigeni di Bottego non possono rivendicare un territorio che già posseggono, gli alberi di Querce e Prequerce rivendicano un’esistenza che è ormai solo spettrale: foto di piante prossime all’abbattimento, anch’esse dipendenti da una luce specifica che permette l’usufruizione delle opere. Le ho rese fantasmi prima che diventassero fantasmi. Così, il debito diventa dipendenza: luci e posizioni prestabilite dell’osservatore diventano cruciali per l’esistenza stessa del soggetto rappresentato. Anche in Genomi la posizione è obbligata. Le lastre di plexiglass sovrapposte, rappresentanti venti volti diversi, forniscono un ritratto solo se osservate di fronte: come se un osservatore di dipinti cercasse un’interpretazione nell’indagare le cornici di profilo. 

In Genomi ho declinato la dipendenza in venti ritratti sovrapposti che sublimano in un unico volto: il patrimonio emozionale di costui dipende dalla sovrapposizione delle persone che ha incontrato lungo la sua strada, una somma di tratti di parenti e amici. 

Mi chiedo: a chi appartiene tale somma? La nostra identità è in debito o in credito nei confronti degli altri?