le immagini

Quante immagini un tempo, e quante fole

Creommi nel pensier l’aspetto vostro

E delle luci a voi compagne!

Giacomo Leopardi, Le ricordanze

L’immagine è un materiale di lavoro? Di primo acchito, la risposta è no - un materiale che necessita di un altro materiale - ma in fin dei conti, anche un dipinto ha bisogno di una tela. È come se dipingessi con figure già create da un’altra persona o da un apparecchio, come nel caso della fotografia (ma possiamo davvero attribuire a ciò che non è divino, sia uomo o macchina, la facoltà di creare?). Il pittore, come recita un adagio, copia o ruba… non crea. 

Per dare una svolta ai miei giochi di immagine, che sono embrioni della mia poetica, ho sperimentato con due tratti della figurazione, il colore e la dimensione, derubando le immagini dei loro significati originari e compensando con doni nuovi.

Come una carta geografica che diventa più grande del territorio che rappresenta, il volto di Pixel subisce la violenza di due iperboli e viene svuotato della sua utilità. Il troppo piccolo (la mia testa sullo sfondo di una fotografia) diventa troppo grande attraverso il mio zoom scultoreo. Come guardare microrganismi con un telescopio, o osservare gli astri con un microscopio, il minuscolo, se reso colossale, acquisisce livelli differenti di irriconoscibilità. Questo mosaico atipico (Pixel è un mosaico, ma tridimensionale e realizzato con materiali insoliti per questa forma d’arte) richiede una certa distanza dell’osservatore dall’opera per riacquisire la propria identità. 

Identità differenti emergono invece con la sovrapposizione cromatica dei volti dei quattro fratelli di Crometype: quattro volti, quattro colori, quelli necessari alla stampante per dare vita a un’immagine, come le quattro basi azotate che danno vita al DNA. Geni condivisi e differenze: in base al colore scelto per ogni sovrapposizione delle quattro immagini, emergono connotati differenti. Se il potere di creare ci è precluso, ci è concesso di trasfigurare.