la terra

Vide da lontano un busto grandissimo; che da principio immaginò dovere essere di pietra, e a somiglianza degli ermi colossali veduti da lui, molti anni prima, nell'isola di Pasqua. Ma fattosi più da vicino, trovò che era una forma smisurata di donna seduta in terra, col busto ritto, appoggiato il dosso e il gomito a una montagna; e non finta ma viva; di volto mezzo tra bello e terribile, di occhi e di capelli nerissimi; la quale guardavalo fissamente…

Giacomo Leopardi, Dialogo della Natura e di un islandese

 

erba del vicino
erba del vicino
talkingheads
talkingheads

I miei progetti di terra sono ironicamente i più antichi. Lavorare con il materiale più primitivo del mondo - anzi, con la stessa carne del mondo - è come far rimare fiore e amore: assonanze tanto antiche quanto difficili, come diceva Umberto Saba.

Cosa ha da dire la mia terra lavorata? Sin dal principio ho tentato la commistione di primordiale e contemporaneo: volti di terracotta che acquisiscono nuove identità tramite l’invasione di immagini proiettate, come barbari che posseggono il segreto del ferro giunti a sottomettere civiltà matriarcali. Le mie Talking heads parlavano di ritratti multipli e di perdita di riconoscibilità: immagini di volti differenti alternati alla velocità di 24 fotogrammi al secondo, di modo che non si potessero riconoscere i tratti somatici dei singoli individui, a loro volta proiettati sullo sfondo di teste realizzate in terra cruda. Un ritratto multiplo di persone che aprivano e chiudevano gli occhi: il concetto di uno sguardo attivo/disattivo è divenuto poi il cardine di alcuni dei miei progetti più recenti, come In too deep e Derealized

Dallo sguardo emerge la realizzazione amara di essere differenti, talora inferiori: la parola invidia deriva dal latino in-video, “guardo male”. L’erba del vicino è il nome di un altro progetto legato alle teste di terra, ed essa sembra sempre più verde. Mescolando semi di ojetto a miscele di terre differenti ho plasmato dei volti in serie: l’apparenza, mai come in questo caso, ingannava. Ma la terra è anche simbolo di pazienza e, attendendo, ognuno rivela il proprio valore, e gli altri non possono che stare a guardare. L’ojetto, a seconda dell’humus sempre differente messo a sua disposizione, cresceva con maggiore o migliore rigogliosità: da lì il titolo del progetto e il legame con l’invidia.

Che piaccia o meno, l’affermazione della propria identità passa attraverso l’attesa e l’ausilio di strumenti e organismi altri da noi. Ho sempre cercato di incamerare tale lezione d’umiltà nel prosieguo della mia carriera.