Nomi, luoghi e date.

Nomi, luoghi e date. Si compone uno schema degli sconfinamenti, dei viaggi, si ricordano gli incontri necessari. Riporto questi incontri, in breve, perchè riunire i compagni mi piace, e mi dà qualche idea su chi sono io, su cosa divento. E’ una sintesi, utile a vedere ora, da fuori, come funziona questa collaborazione tra il lavoro e la bellezza (la fortuna).
Il mio approccio al lavoro è di tipo analitico: parto da un percorso schematico che mi permette sia di analizzare il fine che voglio comunicare che l’escamotage tecnico con cui risolvere l’opera. Allo stesso tempo cerco di mantenere una coerenza tra tutti i miei progetti, così che possano sempre dialogare tra loro.
Un risultato estetico non è mai pianificato, così come non lo è un incontro. Lascio piuttosto che i tasselli dello schema su cui opero vadano a comporsi in spontanea successione, convinto che l’opera frutto di un percorso analitico rifletta automaticamente una sua purezza estetica – e che la dedizione possa condurre la fortuna degli incontri.
In queste note si incontrano, con un certo piacere e una certa necessità, persone e opere, tecniche, materiali ed etica, i molti punti di vista di cui si compone una storia, se è reale.

Ho fotografato le persone del mio passato e della mia quotidianità, ho deformato i ritratti sul modello del mio viso, li ho stampati su acetato e li ho messi in fila facendoli corrispondere. Ho ricavato così, in un mio ritratto, una sorta di dna di quello che emozionalmente mi ha costruito (...). Il figlio di tanti padri in un unica madre che è poi la memoria.

Questo è un estratto dalle mie note per Genomi, il progetto che propongo nel 2005 come mio contributo per un’esposizione di artisti locali a Casalmaggiore. Il curatore, Gianluca Ferrari, ha la felice intuizione di raccogliere i portfolio digitali di tutti i giovani artisti coinvolti sulla piattaforma di un sito web, Exhposition now, unendoli alla presentazione, in italiano e in inglese, delle opere esposte. Quanto basta per suscitare l’interesse, alcuni mesi dopo, del curatore inglese Paul Malone, che vuole l'intera mostra a Londra, per una collettiva di artisti inglesi, italiani e olandesi. Così nel 2006 un mio progetto valica per la prima volta i confini nazionali, ospite della piccola galleria «Tara Brian» al 10 di Marshalsea Road, l’edificio vittoriano dove Charles Dickens abitò per un certo tempo e dove, si dice, scrisse la sua Little Dorrit. Primavera 2006 è il titolo della mostra.

La collaborazione e l'amicizia con Paul Malone (curatore di mostre ma anche artista, assieme alla compagna Nicola Rae) si saldano nei tre anni successivi, con tre nuove collettive: Primavera 2007 ad Amsterdam (Punt WG Gallery, a cura di Els Van der Graaf e Rody Luton); Objects-room a Parma, sempre nel 2007 (Ground’s Art Gallery a cura di  Gianluca Ferrari e Silvia Scaravaggi); Perpetuum Mobile a Londra, nel 2008 (APT Gallery - Art in Perpetuity Trust, Creekside, a cura di Paul Malone e Nicola Rae).

Nel 2007 mi trasferisco a Londra per un paio di mesi. Perfeziono il mio inglese e collaboro con Nicola Rae ai laboratori didattici che si tengono alla Galleria APT, dove i metodi di apprendimento sono incentrati sui sistemi di sviluppo, nel bambino, di un’attenzione analitica. In questo periodo stringo amicizia con Julien Ashner, un ragazzo tenace e ambizioso, immigrato dalla Francia anni prima, che a Londra si è conquistato un buon posto alla Tate Modern Gallery e ha coltivato le sue doti organizzative e comunicative presso diverse gallerie e riviste d'arte inglesi, francesi e tedesche. È Julien che successivamente, nel 2009, mi introdurrà nel circuito di quella che è attualmente la mia galleria a Londra, Gift Gallery, in Vyneer Street.
Il 2007 è un anno importante per il mio rapporto con il mercato estero: il progetto Kairos>Kronos viene selezionato per la Biennale d'Europa e del Mediterraneo (a Bari nel 2008), un’importante vetrina per l'arte under 30.

C’è il tempo dell’uomo, c’è l’attimo che fugge e c’è il tempo inesorabile che rende l’uomo impotente di fronte al suo volere: sono energia vitale intrappolata nella struttura come i gesti di un danzatore dentro una rete, sono Kairos e il suo alter ego Kronos, ricostruiti attraverso lÕimmagine di un danzatore dentro una struttura di legno e rete metallica. Kairos diviene dunque il movimento e lÕimmagine di un giovane danzatore, mentre enta una tecnica originale che nasce da unÕimmagine fotografica, rielaborata digitalmente e trasportata studiando non lÕoggetto, ma ci˜ che le ombre ne proiettano, su vari supporti come acetati, carta, legno grezzo, plexiglass e in questo caso reti che ricordano una teca entomologica come icona del tempo misurato, calcolato e definito, dove si pu˜ intrappolare il movimento umano che grazie alla sovrapposizione delle reti acquista tridimensionalitˆ. (Ursula Boschi, Parma giorno e notte, maggio 2008)

Alla Biennale incontro diversi galleristi tra cui l'S&G Gallery di Berlino: tra noi un accordo di esclusività sul mercato tedesco e, nel 2008 e 2009, la partecipazione a due collettive a cura di Adriana Gonzales. Tra i progetti esposti nel 2008, mi piace ricordare le «piccole anime» di Unknowns; nelle note a quest’opera scrivo di Sconosciuti come «frammenti di tempo, simili a leggere scosse elettriche, quegli istanti in cui l’attenzione è catturata da un particolare che concentra lo sguardo, momenti di silenzio (...), il “la” per una fuga di pensieri e talvolta la soluzione di enigmi».

La serie unknown (...) parte da una tecnica molto peculiare: incidere dei bassorilievi su blocchi di carta. Ne emergono delle figure-segnale, semplificate e astratte: tratti di persone «sconosciute» che avanzano nel vuoto, nel bianco della carta. È il taglio della luce che rivela pienamente le presenze e che conferisce un valore enigmatico e metafisico (Vania Stukelj, estratto dal catalogo Punto 15,collettiva a cura di Vania Stukelj e Valerio Dehò,Pigorini, Parma, febbraio/aprile 2008).

Nel 2009 porto a Berlino uno sviluppo del progetto Suppliciations (del 2004), dedicato ad Antonin Artaud – alla sua scrittura degli ultimi anni, concentrata sullo scontro tra psiche e corpo. Nell’opera, il veicolo di questo conflitto diviene il mio stesso corpo, in una somma di visioni parziali riunite al fine di ricostruire del corpo quella visione «piena» che una visione totale e unitaria non lascerebbe passare. Dalle note rileggo: «l’immaginario e il corpo sono i due lati eccentrici dell’io, quelli che meglio rappresentano l’instabilità della ragione e l’esibizione di una condizione di vertigine e disordine che circonda il soggetto-persona e lo assedia, ne consuma la presenza».
Porto anche Querce (già a Londra nel 2008), dove indago una diversa fruizione dell’immagine fotografica, per cui sia possibile ricostruire, del soggetto fotografato, movimento e riflessione. Così la tecnica fotografica, la particolare illuminazione e la percezione dello spettatore sviluppano una memoria in forma di luce, restituendo agli alberi il movimento dei rami e il riflesso acquatico.
Infine porto il Giuba esplorato: tributo al lavoro di Vittorio Bottego – abitante del palazzo che ospita la prima uscita dell’opera, nel novembre 2006, e antropologo parmigiano che, alla fine dell’800, per primo ha esplorato le rive del fiume Giuba, nel Corno d’Africa. Un altro tentativo di recupero dell’anima dell’immagine attraverso la luce. Una sorta di dipendenza dalla luce: luce come elemento vitale per gli alberi da cui provengono i listelli di legno su cui l’ombra si proietta; luce come elemento necessario alla fruibilità dell’opera.
    
Corpi degli indigeni (...) come presenze che affiorano con la consistenza di ectoplasmi. Sviluppando una tecnica su cui sta lavorando da qualche anno, Tentolini seziona e ricompone i corpi, stampati su carta trasparente, giocando sull’effetto che la luce crea sullo sfondo  di legno listellato. è allora lo spettatore che, percorrendo lo spazio, deve cercare il punto in cui l’immagine si definisce, in cui riconquista nel gioco delle ombre proiettate una sua momentanea consistenza (Stukelj,  estratto dal catalogo ConFini lo spazio del corpo - il corpo dello spazio, mostra collettiva a cura di Maria Luisa Pacetti e Vania Stukelj,Pigorini, Parma - Palazzo Massari Pac, Ferrara, novembre 2006 / gennaio 2007)

Nel 2010, grazie ad Andrea Gambetta di Solares, Fondazione delle Arti a Parma, incontro Lorand Hegyi, attuale direttore artistico de «Le Musée d'art moderne de Saint-Etienne», e già direttore della Fondazione Ludwig di Vienna, del PAN di Napoli e delle Biennali di Venezia 1993 e Valencia 2003. Hegyi mi inserisce nella rosa dei suoi artisti per «Promenade», un Travelling-Exhibition-Project che nasce a Bratislava nel 2008 e che ha finora viaggiato a Sarajevo, Budapest, Tel-Aviv, Palermo e Valencia. A «Promenade» presento Pure morning, opera in cui rielaboro la tecnica e il supporto, l’incisione su blocco di carta, già sperimentati con il progetto Unknow.
In luglio, partecipo a un'iniziativa dell'University of London  per la sperimentazione di nuovi linguaggi artistici presso il C4CC - Center For Creative Collaboration. Propongo Net, un’opera su rete in pvc. Dalle note rileggo:

Per intreccio intendo ugualmente un oggetto matematico e la riunione di molteplici nodi; e il corpo umano visto da una parte come rete infinitamente complessa di terminazioni nervose e capillari dall’altra come individuo “neutro” inserito in una rete sociale. Unendo questi concetti su un unico piano sono partito dalla figura centrale di un uomo, illuminato da terra e dal viso in ombra. La luce lo percorre nella sua interezza andandosi a sfumare progressivamente. Il soggetto perde quindi la sua riconoscibilità individuale e va ad inserirsi in una più neutra oggettività.

Nell’autunno del 2010, con Paul Malone, Nicola Rae e Gianluca Ferrari, partecipo a «Erased Walls» nell'ambito di «Mediations Biennale», a Berlino e a Bratislava con il progetto Il Muro dei Muri.

Yukio Mishima scrive che «le emozioni non hanno simpatia per l'ordine fisso». Così anch'io non sono in grado di concentrarmi su un unico interlocutore. Cerco le idee negli incontri, nelle persone che mi aiutano a coltivare il mio desiderio di nomadismo artistico. Al tempo stesso, l’insediamento del mio lavoro in un contesto spaziale è uno degli aspetti fondamentali della mia ricerca. Dal punto di vista tecnico i miei progetti sono del tutto dipendenti dalla luce e dalla direzione in cui questa è proiettata. Dal punto di vista percettivo sono legati alla posizione dell’osservatore di fronte all’opera, ma anche al tempo e al luogo di questo incontro. E ovviamente alla sua fortuna.
L’Italia resta il mio paesaggio, il mio linguaggio e fondamentalmente l'unico posto dove fino ad ora io sia riuscito a realizzare, sereno e concentrato, i miei progetti. Ogni sconfinamento segna un’esigenza che è, se si vuole, del mercato, che è certamente mia, ma soprattutto che è un’esigenza delle opere stesse, di incontrarsi con altri spazi.
Così, viaggiando al seguito dei miei progetti ho incontrato molte persone che hanno creduto nel mio lavoro; che – in questo dialogo tra tecnica e etica – dall’ombra hanno intuito il corpo. Oltre quelle che ho già citato c’è Cristiano Boni, compagno di viaggio, assistente/co-realizzatore, amico che mi ha sempre sollecitato; e c’è la mia famiglia, dalla mente aperta come solo una famiglia di origini rurali sa essere, che spesso mi prende per mano e accompagna le mie scelte.

Torno a Genomi, il progetto che mi portò per la prima volta oltre i confini dell’Italia. Un ritratto multiplo che riunisce, sovrapposti sull’ovale del mio viso, i visi di tutte le persone che mi ho incontrato, che mi hanno attraversato. Un autoritratto: il mio grazie, che è un continuo work in progress.

 

Giorgio Tentolini intervistato da Massimiliano Briarava Cosati

 

01/03/2011